Buono, pulito e giusto. È la filosofia alla base di Slow Food, l’associazione internazionale no profit, sostenitrice dei giusti valori legati al cibo. Un cibo visto come ricchezza, purché fedele ai principi della qualità, della sostenibilità e dell’etica. Cibo che, se pensato in questo modo, può davvero essere il punto di partenza per la valorizzazione e la promozione del territorio. Soprattutto in un territorio come Nicotera, città della dieta mediterranea. Di cibo, territorio e stile di vita mediterraneo abbiamo parlato con Michelangelo D’Ambrosio, portavoce di Slow Food Calabria e componente della comunità Slow Food “Ritmo Mediterraneo”, nata assieme a Destinazione Nicotera, con l’obiettivo di diffondere la cultura mediterranea, condividendone la conoscenza, per contribuire a rendere la società in cui viviamo il più inclusiva possibile.
Qual è il valore aggiunto dello stile di vita mediterraneo rispetto alla dieta mediterranea?
Credo che parlare di stile di vita mediterraneo sia più esaustivo. Non è che non creda nella dieta mediterranea, non si può non crederci in termini di modello nutrizionale perché alla base ci sono dei dati scientifici. Semplicemente ritengo che il principio non possa basarsi solo sul genere di alimentazione che gli abitanti di Nicotera avevano negli anni ’50. Penso piuttosto ad uno stile di vita non trascurabile e dettato da molti fattori. Il primo: la conformazione geografica. In quegli anni la popolazione viveva nell’attuale centro storico – in una posizione collinare – ma i possedimenti e i terreni, le aree di lavoro agricolo, stavano in pianura. Per cui ogni giorno ci si spostava dalla propria abitazione al mare: per lavoro, per attività di scambio merci, per pescare. Questo significava chilometri a piedi, in salita e in discesa, ogni giorno. Una condizione perfetta per mantenere allenato un muscolo come il cuore.
Foto di Patrizia Corriero
Cos’altro rende più esaustivo parlare di stile di vita mediterraneo?
Un altro importante fattore da considerare erano le condizioni economiche. Quel modello alimentare non era solo frutto di scelte, ma era dettato dalle condizioni sociali degli abitanti di quel tempo. Nicotera era un paese a vocazione prettamente agricola e il consumo quotidiano di carne era subordinato ad un basso potere d’acquisto da parte del cittadino comune. Si mangiava prevalentemente quello che produceva la terra, seguendo il ritmo delle stagioni e usando parte del raccolto come merce di scambio con i pescatori in cambio di pesce povero. Da qui il largo consumo di pesce, frutta e verdura.
Infine, il terzo fattore riguardava la vocazione areale che garantiva la qualità di un prodotto base del consumo giornaliero come il pane. Nicotera era disseminata di Mulini perché la sua conformazione geografica garantiva una buona trazione ad acqua e questo lo portava ad essere un paese dove la coltivazione del grano per farine era molto radicata.
Ogni paese, ogni comunità si identificava con un pane di riferimento. Accade ancora oggi: “U pani da Batia” “U pani i Limbadi”. Nel centro del paese si trovavano i forni comuni, un prezioso sistema di produzione del pane di famiglia che veniva conferito al forno per la cottura. Con l’arrivo delle farine industriali ci fu la rapida dismissione di quei mulini e il grano sano del territorio fu sostituito da prodotti raffinati ad altissimo contenuto glutenico. L’industrializzazione, lo spopolamento dei borghi, la scomparsa dei lavori manuali ha, di fatto, eroso quello stile di vita mediterraneo di cui borghi come Nicotera erano, inconsapevoli ma naturali, modelli.
Quindi la dieta mediterranea senza uno stile di vita mediterraneo non è spendibile?
Lo stile di vita mediterraneo ha un valore aggiunto, dicevamo. La dieta mediterranea è composta da pomodori, verdure, carote, pesce azzurro, ma questo non vuol dire che si possano consumare pomodori tutto l’anno. La dieta mediterranea aveva il valore assoluto di difendere la biodiversità rispettando il ritmo delle stagioni, delle condizioni climatiche e della tipicità di un territorio.
Oggi più che mai, la transizione ecologica e la sostenibilità, possono far diventare l’evoluzione di quello stile di vita un brand, un marchio di identità territoriale in cui una comunità possa identificarsi, facendolo diventare un fondamentale attrattore di economie circolari. Per farlo occorre una cultura del rispetto dell’ambiente che consideri, oltre alla sostenibilità, anche il necessario e ineluttabile bisogno di ridurre i consumi, in modo particolare, quelli superflui come il consumo di carne.
Foto di Patrizia Corriero
La Calabria però è una regione che vanta una forte tradizione legata al mondo animale. Come si fa ad invertire il trend?
Partendo dalla cultura. Fino a qualche anno fa si pensava al futuro come prospettiva per migliorare. Oggi, tristemente, si pensa ad un futuro possibile. È fondamentale sovvertire questo paradigma. Per tornare all’idea di un futuro migliore è inevitabile avere uno stile di vita sostenibile. Questo vuol dire che alla base dello stile di vita mediterraneo ci deve essere formazione ed educazione, occorre intervenire sul modello culturale. Non stiamo parlando di cultura altra, ma di un movimento che metta al centro l’etica e sostenibilità della produzione, della trasformazione e del consumo del cibo.
In Europa, ad esempio, il consumo di carne è uno degli indici che spiega le dimensioni dello stato sociale ed economico delle nazioni. Il cittadino medio europeo consuma circa 77 kg di carne all’anno, negli Stati Uniti arriviamo a 144 kg, oltre il doppio della media mondiale. Quando anche la Cina e l’India raggiungeranno gli stessi standard, avremo bisogno di più allevamenti intensivi, più acqua per mantenere una mucca e due pianeti Terra per produrre il foraggio necessario a nutrire i bovini. Siamo d’avanti all’impossibile, ad un suicidio annunciato.
Il trend ha la speranza di essere invertito lanciando una nuova filosofia di vita. La comunità è il tassello base per questo cambiamento, quando la comunità si adatta e abbraccia questo stile di vita è il primo passo di un fondamentale viaggio verso il futuro. Questa è uno sforzo che dobbiamo fare tutti: contadini, ristoratori, produttori, cittadini.
Foto di Patrizia Corriero
Qual è il metodo di lavoro di una comunità slow food come Ritmo mediterraneo?
È un progetto giovane che ha come obiettivo far diventare il modello di stile di vita mediterranea una sorta di volano culturale per un turismo lontano dai modelli già vissuti e consumati in passato. Il metodo di lavoro entra in punta di piedi nelle comunità, in questo caso in quella di Nicotera, mappa il territorio puntando a conoscere non solo il numero di posti letto, ma ricercando gli ecotipi agricoli prodotti, la tipologia di produttori e le culture presenti: come la cultura del vino e quella del formaggio.
Contestualmente serve attivare incontri con le realtà aggregative del territorio, riuscire a mettere a sistema queste esperienze di confronto e di scambio con tecniche di valutazione e di socializzazione, come ad esempio i “world cafè”: tavoli tematici con tutti gli attori impegnati nella valorizzazione del territorio. Un’importante raccolta di dati partecipata e condivisa in modo collettivo che porta a delle riflessioni e a delle consapevolezze. Così si rigenerano i territori, partendo dalle comunità che li vivono.
Foto di Patrizia Corriero
Come si inserisce “Ritmo mediterraneo” in un contesto di etica del cibo?
Facendo cultura, trasmettendo le narrazioni legate al cibo. Un ristoratore che sceglie di proporre prodotti locali e stagionali, diventa il testimonial di una narrazione, di un racconto unico, profondo, che fa diventare l’operatore del cibo promotore del brand di stile di vita mediterraneo. Lo fa raccontando ai propri ospiti il menù del giorno, storie di pesci, di mare, di campi, di colture e di culture, di valori veri, attenti, discreti, silenziosi e bisognosi di essere espressi e non ostentati. Un racconto in cui emerge la natura profonda di un luogo che è la sua gente e della gente che è il proprio luogo.
È questa l’essenza di un marchio che diventa una possibile visione di un futuro diverso.
Ritmo mediterraneo
Ritmo mediterraneo vuol dire prendersi cura dei luoghi in cui abitiamo, lavorare per cambiarli e migliorarli. Vuol dire riprendere possesso dei ritmi naturali che contraddistinguono la vita nei borghi del mediterraneo, ridare il giusto valore al cibo promuovendo un’agricoltura equa e sostenibile che salvaguardi la biodiversità, promuova i piccoli produttori e le tradizioni gastronomiche.
Vuol dire raccontare un nuovo modello di ospitalità, che metta al centro il cibo, la biodiversità, il paesaggio e le comunità locali.
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